lunedì 15 febbraio 2010

L'India e le origini della filosofia

Nella pregevole introduzione, scritta da Roberto Calasso, a La dottrina del sacrificio nei Brāhmaṇa, edizione italiana del fondamentale saggio di Sylvain Lévi di cui già ho scritto su questo blog, si leggono interessanti accenni alla posizione dell'India in una storia della filosofia che vada oltre la Grecia. Parlando del celebre Essai sur la nature et la fonction du sacrifice di Hubert e Mauss, debitori a Lévi di gran parte del materiale su cui costruire una teoria generale del sacrificio nelle varie culture umane, si osserva: "Esisteva dunque almeno una parte della terra in cui il sistema del sacrificio non era stato soltanto una complicata prassi liturgica, ma una articolata e ambiziosa teoria, che inevitabilmente tentava di dire ciò che è - assumendosi il ruolo che un giorno sarebbe stato della metafisica. E quella parte della terra era l'India dei Brāhmaṇa.[...] Se considerato da questo angolo, il saggio di Hubert e Mauss aveva il risultato di scardinare l'assetto acquisito della storia del pensiero (prima i greci, poi tutti gli altri - e soprattutto: nulla prima dei greci), in singolare convergenza con ciò che cinque anni prima si era compiuto nel primo volume della Allgemeine Geschichte der Philosophie di Deussen dove, invece di cominciare, come di regola, da Talete, si trattava del  Ṛgveda e dei Brāhmaṇa [...]"
Il volume di Deussen apparve nel 1915, eppure non sembra che la sua apertura abbia avuto molto seguito, a quasi cento anni di distanza. Ricordo ancora l'introduzione al manuale scolastico di storia della filosofia di Abbagnano, dove si negava al pensiero orientale un carattere pienamente filosofico, in quanto unito al religioso e non puramente 'teoretico'. Per poi assegnare, ovviamente, lunghi capitoli al pensiero cristiano tardo-antico e medievale... ripensandoci, si potrebbe sospettare che quando non si conosce qualcosa o non la si vuole trattare, si cerca di scartarla con motivazioni capziose. L'ignorare il pensiero indiano è frutto di pigrizia intellettuale e di provincialismo culturale, però ci sono alcune interessanti eccezioni in ambito filosofico. Una è quella dell'audace Atlante di filosofia recentemente pubblicato da Einaudi, opera di Elmar Holenstein, professore emerito dell'ETH di Zurigo, attualmente residente a Yokohama. E' un'opera sintetica che intende abbracciare, in alcune cartine con concise spiegazioni, il pensiero umano a livello mondiale. http://www.einaudi.it/libri/libro/elmar-holenstein/atlante-di-filosofia/978880619825
L'approccio è innovativo anche nell'uso dei termini che indicano le correnti filosofiche e religiose nelle lingue originali, in uno sforzo evidente di superare le lenti eurocentriche. Naturalmente non si può chiedere l'approfondimento a un'opera così vasta, ma per quanto riguarda l'India l'ho trovata di una straordinaria accuratezza da parte di un non specialista. 

Un altro esempio è l'opera di un giovane studioso francese di filosofia, Alexis Pinchard, che ho potuto conoscere personalmente nel mio soggiorno parigino del 2005-6. Si tratta della sua tesi, ormai da tempo pubblicata, Les langues de sagesse dans la Grèce et l'Inde anciennes. Si inserisce nella tradizione francese di Dumézil e Detienne, di studi indoeuropeistici e antropologici, affermando un'affinità tra pensiero indiano (già vedico) e greco antico sulle radici indoeuropee. Si veda una recensione qui:
http://www.bmcreview.org/2009/11/20091128.html

E qui si può anche acquistare online: http://www.erudist.net/fr/livre/?GCOI=26000100417580&fa=description

Naturalmente, Pinchard non si muoveva nell'ottica di una possibile origine indiana (sudasiatica) degli Indoeuropei, e quando gliene parlai rimase sconcertato. Mi chiese: i Greci venivano dall'India? Noi veniamo dall'India? Io gli dissi che sì, pensavo che era possibile, e che era più probabile che venissero dall'area indiana piuttosto che dalle steppe dell'Asia centrale, dove non c'era "beacoup de monde".

Se consideriamo la possibilità che i Greci venissero da un'area prossima a quella della civiltà vedica, questo potrebbe spiegare anche le misteriose affinità individuate da Pinchard... o da Marcello Durante, che aveva individuato formule poetiche molto simili nelle due culture, ipotizzando un influsso indoario sui protogreci sulle rive del Mar Caspio, prima delle rispettive migrazioni... 
Di fatto, le lingue stesse greca e sanscrita rivelano affinità straordinarie, e la lingua è il veicolo, lo strumento del pensiero. Mi ha spesso colpito la frequenza di termini astratti in entrambe le lingue, anche se forse con sfumature diverse: in un senso più oggettivo per i Greci, più soggettivo per gli Indiani. In Grecia gli astratti sono cose in sé, in India sono stati dell'essere cosciente, come la 'rishità' o la 'buddhità'. Di certo i diversi ambienti geografici e culturali hanno foggiato diverse linee di pensiero, ma le affinità rimangono, e le radici della filosofia greca potrebbero essere nelle remote regioni presso l'Hindukush, da cui un giorno i Danaoi (termine omerico per indicare i Greci) o Dānava (termine antico indiano e avestico per indicare un popolo nemico) si potrebbero essere allontanati per raggiungere le sponde del Mediterraneo...

P.S.: a proposito dei 'figli di Danu' rimando a un interessante articolo di D. Frawley, Vedic Origins of the Europeans: The Children of Danu http://r2dnainfo.blogspot.com/2010/01/vedic-origins-of-europeans-children-of.html, ricco di informazioni e di teorie stimolanti anche se da passare al vaglio.