lunedì 23 marzo 2009

Mille sentenze indiane - Regole di vita

240. Presto bisogna prendere, presto dare, presto fare; altrimenti il tempo se
ne beve il succo.

250. Fate il male con violenza e sarà come non fatto;
poiché Manu ha detto che tutte le cose fatte con violenza si considerano come
non fatte.

270. Chi è dotto e sincero, ricercalo; col dotto e maligno,
sta' in guardia; chi è sincero e sciocco, abbine compassione; chi è sciocco e
maligno, sfuggilo ad ogni modo.

279. Dalla soverchia famigliarità nasce il dispregio; dal continuo frequentarsi, l'indifferenza: nel Malaya una mendicante adopra il sandalo come legna da ardere.

lunedì 16 marzo 2009

Mille sentenze indiane - Destino

Tornando al sanscritista anteguerra P. E. Pavolini, sono venuto in possesso di un'edizione originale di una sua importante pubblicazione, "Mille sentenze indiane. Scelte e tradotte dai testi originali, con introduzione e note a cura di Paolo Emilio Pavolini", Sansoni, Firenze 1927.
Si tratta di un'antologia di epigrammi, di perle di saggezza dal vasto mare della letteratura sanscrita. Nell'introduzione (a p.XVII) troviamo questo straordinario elogio:


"Abbiamo dato un'occhiata alla letteratura sentenziosa
degli altri popoli, perché meglio si vedesse di quanto la indiana a tutte va
innanzi e per ricchezza di raccolte e per varietà di argomenti e per profondità
di pensiero e per eleganza di forma. Certo le giova l'esprimersi in una lingua
di tale potenza fantastica e di tale struttura insieme trasparente e
pieghevolissima e atta a sottili e inaspettati ravvicinamenti di parole e
pensieri, quale il sanscrito."

Purtroppo, nel testo non c'è l'originale sanscrito, ma è comunque interessante leggere queste strofe in un'elegante traduzione d'epoca. Sceglierò quindi via via qualche sentenza per ogni settimana. Comincerò con quelle sul destino, per dare un'idea del più tipico atteggiamento indiano, che non è fatalista ma anzi fondato sull'intraprendenza dell'azione individuale, che, secondo la dottrina del karma, porta i suoi frutti da una vita all'altra, e in questa vita stessa:

204. Lo sforzo dell'uomo è il campo, il frutto delle azioni
il seme; dall'unione del campo e del seme matura la mèsse.
206. Dal destino e dall'azione dell'uomo dipende il successo
di un'impresa; ma il destino è manifestamente la stessa azione umana in
un'esistenza anteriore.
208. Come il carro non può camminare con una ruota sola, così
il destino non può compiersi se l'uomo non agisce alla sua volta.
210. Non si lasci il proprio lavoro, pensando: "lo compirà il destino!"
Chi, senza lavoro, può ricavare l'olio dai grani di sesamo?

sabato 14 marzo 2009

Un indizio interessante sull'identità della civiltà harappana


Qui a sinistra vediamo uno degli innumerevoli sigilli del periodo harappano maturo (2600-1900 a.C.), trovato a Mohenjo-daro. Al centro presenta il cosiddetto 'unicorno' dal corpo taurino, e a sinistra un misterioso oggetto. Recentemente ho letto un articolo dello studioso tamil Iravatham Mahadevan (in 'South Asian Archaeology 1993', per la sua biografia e foto vedi
http://www.harappa.com/arrow/bio.html), e trovo la sua interpretazione dell'oggetto geniale e nel complesso pienamente convincente.
Infatti secondo lui la parte superiore è un setaccio attraversato orizzontalmente da dei filtri, verticalmente dal liquido detto Soma (forse questo è l'unico aspetto da rivedere: può essere che sia la rappresentazione in verticale di un setaccio orizzontale), che sotto forma di triangolo scende nel recipiente sottostante, una colino da cui sprizzano le goccie. Ecco l'immagine analitica:
Oltre a questo, l'asta sottostante indica che siamo di fronte a uno stendardo che ha su di sé il simbolo del Soma, in omaggio al dio Indra a cui tale sacra bevanda è principalmente offerta. Che l'uso di un simile stendardo esistesse, anche in processione, è attestato da quest'altra immagine a destra:

Tutto ciò cosa significa? Per Mahadevan, che il culto del Soma è sopravvissuto all'arrivo degli Indoarii alla fine della civiltà harappana, ma per noi che neghiamo, sulla base dell'archeologia e dei testi, la realtà di una invasione o immigrazione indoeuropea dell'India si tratta di una eccellente conferma che la civiltà harappana non è altro che la civiltà vedica, come ci mostrano anche gli altari del fuoco e le sepolture.
Culto del Soma e culto di Indra (simboleggiato dal toro) sono dunque parte integrante della civiltà harappana, che, come già rimarcato, si è sviluppata principalmente sul fiume Sarasvati, il fiume sacro del Rigveda.
Quello che ancora manca è la decifrazione della scrittura. Oggi ho appreso dell'esistenza di un ennesimo tentativo, quello di Kurt Schildmann e Rainer Hasenpflug (vedi http://www.indus-civilization.info/), ma da quello che ho visto è anche un ennesimo buco nell'acqua, anzitutto perché segue l'orientamento inverso a quello riconosciuto (da sinistra a destra invece che da destra a sinistra). E' notevole però che si tratta di un tentativo di decifrazione in senso indoeuropeo, segno che tale identificazione si sta affermando sempre più negli studi (non sempre accademici) sulla civiltà harappana.

mercoledì 4 marzo 2009

Idee sugli 'ariani' in un sanscritista livornese agli inizi del Novecento

Leggendo l'introduzione di Paolo Emilio Pavolini, nato a Livorno, professore di sanscrito a Firenze dal 1901 al 1935, al suo Mahabharata. Episodi scelti e tradotti, del 1902, mi sono imbattuto in un passo significativo per la mentalità dell'epoca. Parlando del grande poema epico indiano, afferma che "l'esagerazione spinta fino alla mostruosità è la precipua caratteristica di questa poesia" (ottimo esempio di quella che il Pisani chiamerebbe 'estetica illuminista'), e fa degli esempi delle mostruose esagerazioni, però alla pagina successiva si lancia in questo commosso elogio:
"Ma tenuto conto di questo che è particolarità etnica, il poema parla con voce grandiosa e simpatica alla mente ed al cuore nostro. Poiché è il poema della razza ariana, della razza nostra, e lo pervade lo stesso spirito che anima l' Iliade e il Canto dei Nibelunghi : una vendetta da compiere ne è il nodo, la morte ne è lo scioglimento."
Qua, ci troviamo in tempi non sospetti, ben prima del nazismo e anche del fascismo, eppure si parla tranquillamente di razza ariana, che include i Greci omerici e i Tedeschi medievali: è evidente che i parlanti lingue indoeuropee sono anche immaginati appartenere a una stessa razza, accomunata da sentimenti e tematiche epiche.
Quindi, l'ideologia nazista e poi fascista della razza ariana si innestava su un terreno già predisposto, in una mentalità che dava per scontata questa categoria, almeno a livello accademico. Anche l'accentuazione tragica della vendetta e della morte sembra preludere al culto nazifascista della morte e della violenza e all'attrazione verso un fosco 'Crepuscolo degli Dèi', a cui andò fatalmente incontro quell'ideologia... Non c'è forse da meravigliarsi se suo figlio fu il celebre Alessandro Pavolini, fascista della prima ora, firmatario del 'Manifesto della Razza', ministro della Cultura Popolare dal 1939 al 1943, e infine terribile segretario del Partito Fascista Repubblicano, giungendo alla fine per fucilazione da parte dei partigiani...
Non si possono però addossare ai padri le colpe dei figli, e va detto che Paolo Emilio non risulta tra i firmatari del Manifesto della Razza (che comprendono invece un orientalista come Giuseppe Tucci, vedi http://it.wikipedia.org/wiki/Leggi_razziali_fasciste e per una lista completa
http://www.carloanibaldi.com/novecento/anni30/manifesto.htm), del resto probabilmente a quell'epoca era ormai lontano dall'Italia e dai figli, avendo seguito l'amore per una giovane finlandese (vedi l'aneddoto in http://www.scribd.com/doc/3842895/Anhelli-di-Slowacki).
Infatti una sua grande passione era la Finlandia e la sua letteratura, sua è l'unica traduzione metrica del Kalevala. E si tratta qua di una lingua non 'ariana', ma ugrofinnica, anche se il finlandese presenta alcuni prestiti dall'indoario o dall'iranico...
Di fatto, in questa introduzione al Mahabharata non parla di superiorità della razza ariana, ma semplicemente di comunanza di sentimenti tra opere della 'razza ariana'. Bisogna ammettere che in periodo fascista, nel 1925, il Nostro pubblicò a Firenze un manuale comparativo di letterature straniere 'corredato di esempi con speciale riguardo alle genti ariane'. E rimane da chiedersi se Pavolini supponesse che le genti non ariane non abbiano i nostri stessi sentimenti e non riescano a parlare con voce 'simpatica al cuore nostro' (i finnici però gli hanno parlato ampiamente). D'altronde, questi ariani di Pavolini che parlano di vendetta e morte non sembrano poi così simpatici: per fortuna il Mahabharata è anche molto altro, è infuso di uno spirito molto più gioioso dell'Iliade e di una sapienza pragmatica e spirituale al contempo, capace di esaltare la non violenza e la simpatia universale invece della vendetta.

lunedì 2 marzo 2009

Trasmissione sull'archeologia indiana su radio 3

Ieri sera ascoltando la radio, ho avuto la bella sorpresa di sentir parlare di archeologia indiana su radio 3, nella trasmissione 'Siti terrestri, marini e celesti' (l'audio si trova su

In particolare si è affrontato il tema di Mehrgarh, antichissimo sito della valle del Bolan, in Pakistan, già abitato tra IX e VIII millennio a.C., e che ci offre già intorno al 6500 a.C. una struttura evoluta, definita nella trasmissione una vera e propria 'città' per l'epoca, avendo 25000 abitanti ed estendendosi su 70 ettari, cinque volte più grande di Çatal Hüyük in Anatolia, considerata la città più antica del mondo (vedi ad esempio

Si è parlato anche di Mohenjo Daro e della sua urbanistica, ma la cosa più significativa è che si è anche confutata la teoria dell'invasione 'ariana' dell'India, e si è parlato del prosciugato fiume Sarasvati, due elementi caratteristici delle teorie indigeniste, secondo cui la cultura indoaria e vedica è autoctona dell'India, e si è sviluppata nella valle del fiume Sarasvati. Ora, l'area che è riconoscibile come sede di questo letto ormai prosciugato, di fatto presenta circa l'80% dei siti della civiltà cosiddetta 'dell'Indo', che dovrebbe quindi chiamarsi in primis 'civiltà della Sarasvati', e andrebbe identificata con quella vedica che si è sviluppata sullo stesso fiume, senza dar segno di essere arrivata dall'esterno come pretendono le aprioristiche teorie invasioniste sviluppate dagli indoeuropeisti dell'Ottocento.
Per approfondimenti, segnalo il mio articolo 'Sulle tracce del fiume Sarasvati e della sua antica civiltà tra letteratura, archeologia e geologia', apparso su 'Studi classici e orientali' n.49 (2003).