venerdì 12 giugno 2009

Britannici e Indiani a confronto sul concetto di 'Aryan'

Come ha scritto Koenraad Elst, vivace indologo fiammingo, in Asterisk in Bhāropīyasthān, recente (del 2007) raccolta di scritti sul dibattito riguardo all'invasione aria dell'India, la teoria che sosteneva tale invasione giustificò la presenza dei britannici tra i loro 'cugini ariani' in India, trattandosi semplicemente della seconda ondata di insediamento ario in quella regione. Tale teoria fornì un modello fondamentale della sorgente visione del mondo razzista: 1) i dinamici bianchi entrarono nella terra degli indolenti nativi scuri; 2) essendo superiori, i bianchi stabilirono il loro dominio e imposero la loro lingua ai nativi; 3) essendo consci della razza, stabilirono il sistema castale per preservare la loro separatezza razziale; 4) ma essendo insufficientemente fanatici riguardo alla loro purezza razziale, qualche mescolamento con i nativi ebbe luogo lo stesso, rendendo gli Ariani indiani più scuri dei loro cugini europei e corrispondentemente meno intelligenti e dinamici; 5) quindi, per il loro bene potevano elevarsi grazie a una nuova ondata di puri colonizzatori ariani (op. cit., p.74).
Come questa descrizione non sia esagerata, lo mostra un brano citato da D.K. Chakrabarti in The Battle for Ancient India. An Essay in the Sociopolitics of Indian Archaeology (New Delhi 2008), dove l'esploratore A.C.L. Carlleyle scrive nel 1879:
We British Europeans are Aryans, and far more pure and genuine Aryans than the Hindus, and no talk of the Hindus can alter our race [...] It is the Hindus who have altered and deteriorated, and not we! The Hindu has become the coffee dregs, while we have remained the cream of the Aryan race. [...] The Hindu has become a sooty, dingy-coloured earthen pot, by rubbing against black aborigines rather too freely; and he consequently pretends to despise the white porcelain bowl.
Quello che colpisce in questo brano, oltre al razzismo esplicito e offensivo, sono le allusioni al disprezzo da parte degli 'Hindu'. Tanto astio appare una risposta piena di risentimento verso accuse di degenerazione da parte degli Indiani verso gli Inglesi. In effetti, nella tradizione indiana, molti popoli stranieri, tra cui i Persiani e i Greci (Yavana) erano considerati Kshatriya (membri della casta guerriera) degenerati per il loro abbandono del puro Dharma (la legge morale e religiosa), ed è possibile che gli Indiani dell'epoca applicassero tale antica nozione anche agli Inglesi, dopo aver accettato la parentela dei parlanti lingue indoeuropee. Il razzismo che esalta la propria superiore purezza evidente dal biancore della pelle sembrerebbe la risposta britannica a un disprezzo morale da parte degli Indiani: risposta piuttosto puerile, e che manifesta l'ottica decisamente materialista che sostiene il razzismo.
Molto diverse sono le conclusioni a cui arriva, dallo stesso concetto di 'Aryan', inteso però principalmente in senso linguistico, uno studioso indiano, Pandit Lachhmi Dhar Kalla, che pubblicò nel 1930 The Home of the Aryas, dove sostiene, con varie ragioni (tra cui quella dell'unitarietà tra accento vedico e protoindoeuropeo), che la patria originaria degli 'Aryas', ovvero i Protoindoeuropei, era l'Himalaya nordoccidentale. Nella conclusione, a p.106 e 107, afferma che gli Arii in passato hanno sempre sostenuto una sintesi con le razze che hanno incontrato: in India ci hanno dato il concetto del Bharata Varsha, l'India unita di tutte le razze (anche dravidici e munda) e in Occidente si sono uniti con le razze non-arie (gli indigeni europei) e le hanno elevate al livello della loro cultura. Per il futuro dell'India, prospetta anche un'unione con i 'gruppi culturali semitici' (rappresentati dai Musulmani e pare anche dai Cristiani) che chiama Neo-Hindustan. Alla fine, si lancia in un panegirico dell'azione unificatrice degli Arii:
After centuries of work, the Aryas have now prepared the world for such a larger unity of mankind by creating a common mentality in different races through the diffusion of the Aryan language in distant parts of the world. [...] We must thank the ancient Arya, the 'Indo-European' man, who thus long ago laid the foundations of the unity of the East and the West, and took the fire of his civilization to every home he could find.
Vediamo qui come il concetto di 'Aryan', che indica l'indoeuropeo ma porta con sé un'idea di nobiltà, potesse essere usato in senso non razzista, affermando una superiorità culturale che non porta però alla propria autosegregazione, ma ad un'unione con le altre razze e culture. Oggi anche una tale esaltazione culturale degli Indoeuropei appare pericolosa e inaccettabile (del resto lo stesso Kalla afferma di non voler ignorare il valore culturale dei Semiti e dei Cinesi), ma può essere ancora valido il richiamo a una cultura condivisa dai parlanti indoeuropeo, antico ponte tra alcuni popoli d'Oriente (Indiani e Iranici) e molti d'Occidente.
Particolarmente valida ci pare in particolare l'idea che gli Indoeuropei si siano fusi in Occidente con popoli locali non indoeuropei (perché gli 'aborigeni' dovrebbero essere sempre neri?), tra cui i Britannici, che geneticamente sono tra i più lontani dal panorama genetico degli Indiani, degli Iraniani, degli Slavi e dei Balti. Insomma, considerando questi i popoli più pienamente indoeuropei, i Britannici, anche dal punto di vista 'razziale' del Carlleyle, non risultano proprio "far more pure and genuine Aryans than the Hindus". In effetti, è veramente paradossale che un termine indo-iranico come 'arya' sia stato fatto proprio da popoli nordeuropei per poi pretendere di essere loro i veri 'arya'! Del resto, gli imperialisti non potevano certo concedere ai colonizzati e agli 'orientali' l'onore di costituire il popolo dei 'nobili'...

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