sabato 28 febbraio 2009

Ebrei più 'ariani' dei norvegesi e brahmani imparentati con i rabbini?

Una nota sulla presenza di R1a1 nei popoli indoeuropei: secondo l'articolo dell'American Journal of Human Genetics dell'ottobre 2003, n.73, che tratta l'origine dei Leviti Ashkenaziti (http://www.pubmedcentral.nih.gov/articlerender.fcgi?artid=1180600) risulta che tali stirpi ebraiche dallo speciale status religioso, diffusesi nell'Europa orientale, hanno ben il 51% di R1a1 (forse a causa della commistione con i Khazari convertiti all'ebraismo, appartenenti a un'area con alta frequenza di questo gruppo genetico). D'altro lato, i presunti 'ariani' tedeschi nel loro complesso hanno solo il 12,5% di R1a1, e i norvegesi il 21,69%. Se dunque l'R1a1 è il marcatore degli 'Ariani' o Indoeuropei, i Levi Ashkenazi sono più ariani dei norvegesi e dei tedeschi! Meraviglie della moderna genetica, che si rivela un sorprendente antidoto al razzismo...
In effetti, il concetto di 'ariano' viene dall'India e dall'Iran, dove il termine ārya/airya significa essenzialmente 'nobile', ed era usato per identificare i membri delle caste alte e in senso lato il loro popolo. I razzisti europei si erano appropriati di questa idea di nobiltà e l'avevano applicata alla loro convinzione della superiorità della razza bianca nordica, creando così un ibrido assurdo, ma dalle conseguenze molto concrete (vedi anche http://en.wikipedia.org/wiki/Aryan).
Il fatto che il gruppo genetico che unisce gli 'indoeuropei' non abbia a che fare primariamente con genti nordiche ci mostra tutta l'inconsistenza di questa teoria, purtroppo ancora presente in movimenti di estrema destra (persino in Iran), e la sua alta frequenza in stirpi ebraiche ci fa riflettere sul carattere primariamente culturale delle identificazioni in ambiti 'indoeuropei' o 'semitici', anche se gli Ebrei danno una notevole importanza alla discendenza di sangue (come dimostra al contrario la forte natura 'vicino-orientale' dell'affiliazione genetica dei Cohanim ashkenaziti, come si vede nella tavola http://www.pubmedcentral.nih.gov/articlerender.fcgi?artid=1180600&rendertype=table&id=TB1).
Un altro paradosso: l'appartenenza al gruppo R1a1 significa anche che molti Levi (in origine servitori del Tempio e dopo la diaspora spesso impegnati come rabbini) sono geneticamente affini a molti brahmani (vedi sotto il post 'Nuove scoperte...'), come a confermare l'affinità tra le due 'caste' di religiosi, che ha dato luogo anche a comparazioni fenomenologico-religiose... ma naturalmente questa è solo una fortuita conseguenza dei movimenti di popoli.

giovedì 26 febbraio 2009

Dove vivevano i primi Indoeuropei?


La questione indoeuropea nasce ufficialmente nel 1786 con il discorso di William Jones alla Royal Asiatic Society of Bengal (vedi sotto l'articolo L'incontro tra l'Occidente e la cultura sanscrita), in cui nota le affinità tra sanscrito, greco e latino (ipotizzando invece per gotico e celtico la commistione con un altro idioma), però già A. Jäger nel 1686 pubblicò un libro sullo 'scitoceltico', e il nostro Sassetti, come si dice nel già citato articolo, individuò già nel '500 le somiglianze tra numeri sanscriti, greci e latini.
Comunque, è nell'800 che si sviluppa l'indoeuropeistica con tutte le sue ipotesi sulla Urheimat. Inizialmente predominava l'ipotesi asiatica, perché si riteneva che l'umanità fosse venuta dall'Asia in Europa, e l'antichità del sanscrito incoraggiava una teoria indocentrica come quella di Friedrich Schlegel ('Sulla lingua e saggezza degli Indiani', 1808). Prevalse però un'ipotesi sull'Asia Centrale, con il focus sulla valle dell’Oxus e la Battriana, pare all'inizio (Rhode 1820) per le testimonianze avestiche sull'Airyanam Vaejo (regione menzionata nel Vendidad, interpretata come patria originaria degli Arii), poi per ragioni di paleontologia linguistica avanzate dal Pictet nel 1859, creando, come nota E. De Michelis in un saggio del 1903, un'ortodossia scolastica che durava ancora fino alla sua epoca.
Oggi l'ortodossia sta invece nell'ipotesi Kurgan della lituana M. Gimbutas (autrice di vari saggi a partire dal 1956), incentrata sull'area a nord del Mar Nero, dove si sviluppò una cultura pastorale originale dal V millennio a.C., caratterizzata dalle tombe a tumulo (dette kurgan) che sembra presentare un'espansione verso l'Europa, e che per la presenza di cavallo, carro, cultura patriarcale e simbolismo solare, è stata identificata con i Proto-Indoeuropei.
Un recente sostegno a questa teoria è venuto dalla genetica di Cavalli Sforza, che ha individuato una delle 'componenti principali' delle frequenze genetiche concentrata a nord del settore orientale della regione del Mar Nero.
La debolezza della teoria Kurgan mi pare però, oltre che nella mancanza di testimonianze scritte che provino l'affiliazione linguistica di questo popolo, nella scarsa attenzione alla sfera asiatica degli Indoeuropei: a un certo punto il popolo Kurgan viene mandato a invadere l'Iran e l'India, instaurando un dominio d'élite. Ma di tutto ciò mancano le prove. Tra il 4500 a.C. e l'800 a.C. non appaiono modificazioni fisiche negli scheletri nell'India nordoccidentale, e le incursioni di culture occidentali si fermano ai bordi della valle dell'Indo. Queste sono le date offerte da uno studio antropologico di K.A.R. Kennedy, che ha individuato una modificazione negli scheletri nel sito di Mehrgarh in Baluchistan solo tra il Neolitico e il Calcolitico, appunto prima del 4500 a.C., benché peraltro vi sia un’evoluzione lineare dal punto di vista archeologico, autonoma rispetto al Vicino Oriente (infatti nell’area indiana abbiamo soprattutto l’allevamento bovino e la coltivazione dell’orzo, in Vicino Oriente l’allevamento ovino e la coltivazione del frumento).
Dove sono quindi le tracce di una tale invasione di pastori nomadi a cavallo? Negli ultimi decenni archeologi come Shaffer, Lichtenstein e Lal hanno negato l’esistenza di tracce di un’invasione indoeuropea.
Forse andrebbe riconsiderata la teoria dell'indiano Sethna, che pensava ad una 'Aryan belt' dall'India nordoccidentale tramite l'Iran fino al Mar Nero. E il popolo Kurgan potrebbe essere un pollone, almeno a partire da un certo periodo, di una espansione degli indoiranici nel Calcolitico, per poi raggiungere l'Europa secondo la teoria di Gimbutas.
Dal punto di vista genetico, si è già visto nel precedente articolo che l'origine del gruppo R1a1 del cromosoma Y, che corrisponde alla componente in questione (indicata anche come M17) associata agli Indoeuropei, è da rintracciare nell'area indiana piuttosto che in Europa orientale.
Un vasto studio di Sengupta e altri, pubblicato sull’American Journal of Human Genetics del 2006
(http://www.pubmedcentral.nih.gov/articlerender.fcgi?tool=pubmed&pubmedid=16400607), cercando influssi centrasiatici in India, li ha trovati molto scarsi, e conclude che non è stata l’espansione indoeuropea a foggiare il panorama sud asiatico del cromosoma Y, ma un’evoluzione regionale.
E’ possibile quindi pensare che quelle varianti del cromosoma Y che l’India condivide con l’Europa orientale vadano interpretati nel senso opposto a quello ipotizzato dai teorici dell’invasione ariana dell’India.
Comunque sia, da un punto di vista linguistico ci muoviamo nel regno delle ipotesi indimostrabili, in mancanza di prove testuali. Quello che però gli indoeuropeisti dovrebbero maggiormente considerare, è la reale situazione delle conoscenze archeologiche dell'India, che non supporta le loro teorie aprioristiche.

venerdì 20 febbraio 2009

Nuove scoperte sulle origini dei brahmani e degli indoeuropei

Un recentissimo articolo (pubblicato il 9 gennaio) del Journal of Human Genetics
(http://www.nature.com/jhg/journal/v54/n1/abs/jhg20082a.html) riporta una notizia importante negli studi sulle origini genetiche della casta dei brahmani:
"The observation of R1a* in high frequency for the first time in the literature, as well as analyses using different phylogenetic methods, resolved the controversy of the origin of R1a1*, supporting its origin in the Indian subcontinent. Simultaneously, the presence of R1a1* in very high frequency in Brahmins, irrespective of linguistic and geographic affiliations, suggested it as the founder haplogroup for the population. The co-presence of this haplogroup in many of the tribal populations of India, its existence in high frequency in Saharia (present study) and Chenchu tribes, the high frequency of R1a* in Kashmiri Pandits (KPs—Brahmins) as well as Saharia (tribe) and associated phylogenetic ages supported the autochthonous origin and tribal links of Indian Brahmins, confronting the concepts of recent Central Asian introduction and rank-related Eurasian contribution of the Indian caste system."

Questo significa che i Brahmani, diversamente dalla teoria dell'invasione 'ariana' dell'India, non sono venuti da fuori, ma sono originari dell'India, infatti condividono una forte presenza e differenziazione (quindi antichità) del gruppo genetico R1a1 con i tribali, come i Saharia che non parlano nemmeno una lingua indoeuropea, ma munda (del gruppo austroasiatico). La cartina qui sopra ci indica proprio l'intensità della differenziazione o variabilità di questo aplogruppo con la sua massima concentrazione nell'India settentrionale (il suo picco è tra i Brahmani del Kashmir).


Questa cartina ci mostra invece l'intensità della frequenza di questo aplogruppo (del cromosoma Y, quindi del lignaggio maschile) R1a1, mostrandoci che è ben presente anche nell'Europa orientale, quindi, unendo popoli parlanti indoeuropeo come gli Indiani, alcuni Iranici e molti Slavi (nell'Europa occidentale è più raro), è stato candidato a marcatore degli Indoeuropei. Ora, se tale aplogruppo risulta originario della regione indiana, diversamente da una precedente teoria che lo voleva originario dell'Ucraina (vedi la pagina Wikipedia su R1a :
http://en.wikipedia.org/wiki/Haplogroup_R1a_(Y-DNA), ciò significherebbe che l'origine degli Indoeuropei potrebbe essere proprio in quest'area, come supposto dai primi studiosi europei del sanscrito (ad esempio Friedrich von Schlegel)!

Naturalmente non bisogna confondere genetica e linguistica, ma questo è un dato da non ignorare nelle future discussioni sull'origine etnica dei parlanti indoeuropeo, che tra l'altro smentirebbe la versione nordica delle ideologie razziste, degli Ariani biondi e con gli occhi azzurri...

giovedì 19 febbraio 2009

Perché studiare il sanscrito oggi?


Attualmente, in un’epoca di sempre più intensa globalizzazione, in cui l’India emerge come protagonista mondiale dell’economia e delle relazioni internazionali, in cui immigrati dall’area indiana raggiungono le nostre città e campagne (mentre d’altro lato numerosi turisti o viaggiatori occidentali esplorano l’India), e in cui discipline tradizionali indiane come lo Yoga e la medicina ayurvedica sono ormai ben presenti nella realtà occidentale, sarebbe davvero auspicabile diffondere e approfondire lo studio di questa civiltà attraverso la sua lingua e letteratura; è uno studio che, oltre ad arricchire la nostra conoscenza dell’Altro, della sua storia e della sua arte, ci può aprire gli orizzonti di sistemi etici e filosofici di valore universale, di una conoscenza straordinariamente profonda della psiche umana e di elaborati percorsi spirituali miranti a liberare la mente stessa dalle sue afflizioni più radicate per condurla a una pace e una felicità stabili. In un periodo di crisi e incertezza come il nostro, lo studio della luminosa civiltà riflessa nei testi sanscriti può offrire una vasta risorsa di saggezza e bellezza capace di dare ispirazione e risposte non superficiali ai quesiti che l’uomo si pone in ogni epoca.
Rispetto alla lettura delle poche traduzioni accessibili in lingua italiana dei testi indiani, lo studio personale del sanscrito permette di far comprendere in prima persona il significato dei termini usati, la loro origine e le loro sfumature, senza dipendere da fonti secondarie spesso approssimative se non fuorvianti. Inoltre, la sonorità originale di una lingua non può essere sostituita da una traduzione, e questo è particolarmente vero nel caso del sanscrito, una lingua molto attenta alla valenza profonda delle vibrazioni trasmesse dalle parole, fino a costruire dei mantra miranti a produrre col suono stesso uno speciale effetto sulla psiche di chi li recita. Studiare le forme originali in cui si esprime una cultura consente in effetti di cogliere appieno lo spirito che la informa, e non pallidi riflessi nello specchio deformante della propria lingua (con relativa cultura) di appartenenza.

mercoledì 18 febbraio 2009

Come impostare un insegnamento del sanscrito

Ritengo che vi siano due possibili approcci di un corso di lingua e letteratura sanscrita: uno centrato sulla lingua, nei suoi aspetti lessicali-etimologici e grammaticali-strutturali, per coloro (come classicisti o linguisti), che sono interessati alla linguistica comparata e in particolare alla famiglia indoeuropea; e uno centrato sulla cultura, per coloro (come filosofi, storici, antropologi, studiosi di religioni, di letteratura, di musica o di materie scientifiche, praticanti di yoga, meditazione o altre discipline tradizionali indiane), che sono interessati a un particolare aspetto di questa multiforme civiltà, con il rigore di un approccio basato sulle fonti originali e sulla conoscenza storica. Ciò significa che, anche se idealmente bisognerebbe apprendere la lingua sanscrita nella sua completezza anche per studiare la cultura (così come quando si studia la filosofia greca o tedesca è generalmente consigliato lo studio delle rispettive lingue), è possibile, per chi non voglia impegnarsi nello studio integrale della lingua sanscrita, disegnare un corso orientato su un aspetto della civiltà da essa veicolata, con gli approfondimenti terminologici resi opportuni dal contesto. Chi fosse interessato, è invitato a contattarmi tramite email (giacomobenedetti@hotmail.com) e a fare richieste su TFW (vedi in fondo alla pagina).

domenica 15 febbraio 2009

L'incontro dell'Occidente con la cultura sanscrita




L’Europa ebbe i primi significativi incontri col sanscrito nel XVI secolo, quando viaggiatori curiosi come il mercante fiorentino Sassetti scoprirono le sorprendenti somiglianze tra i numeri sanscriti e i numeri latini o greci, e i rispettivi termini di parentela: per esempio, latino duo, sanscrito dvā, latino tres, sanscrito trayas, latino mater, sanscrito mātā(r).
Fu solo però in seguito alla colonizzazione britannica del XVIII secolo che il sanscrito fu conosciuto più dettagliatamente dagli europei: un documento esemplare di questo evento culturale è il discorso che Sir William Jones (qui ritratto), orientalista formatosi ad Oxford e giudice del Tribunale Supremo di Calcutta, fondatore della “Royal Asiatic Society of Bengal”, tenne nel 1786, in cui dichiara:
“Il sanscrito, quale che sia la sua antichità, è di una struttura meravigliosa, più perfetta del greco, più vasta del latino e più squisitamente raffinata sia dell’uno che dell’altro; inoltre, presenta rispetto ad entrambe sia nelle radici dei verbi che nelle forme grammaticali un’affinità così stretta che è impossibile considerarla casuale...”

Parole che dovevano suonare sconcertanti ai classicisti dell’epoca, e che segnano l’inizio dell’indoeuropeistica, ovvero di quella scienza che confronta le lingue della famiglia indoeuropea, così chiamata perché si trova tra l’India e l’Europa, e nella quale il sanscrito ha un’importanza fondamentale per la sua antichità e ricchezza lessicale. Questo è il motivo per cui l’insegnamento del sanscrito è diffuso nelle facoltà di Lettere anche al di fuori degli ambiti orientalistici, nel contesto della linguistica storica comparata. Nonostante ciò, rimane una lingua ancora ampiamente ignorata, di cui circolano alcune parole ormai familiari anche al grande pubblico, come mantra, karma, avatāra, guru, yoga... ma di cui non si conosce la struttura, la storia, la straordinaria ricchezza di testi. Conoscere il sanscrito permette di accedere al cuore di una delle più grandi civiltà del mondo, quella indiana, unica per la sua attenzione ai valori dello spirito, e al contempo interessata ai più vari campi dello scibile e dell’arte, dalla medicina alla matematica, dalla logica alla musica, dall’astronomia alla politica. I generi letterari in sanscrito comprendono inni religiosi e poemi epici, codici di leggi e opere filosofiche, poemi di cosmologia e storia tradizionale, raccolte di novelle, trattati scientifici e grammaticali, manuali di meditazione, opere drammatiche e composizioni liriche.
Quando l’antica cultura dell’India fu meglio conosciuta in Europa, a cavallo tra Settecento e Ottocento, in particolare in Germania e in Francia, avvenne quello che è stato chiamato un ‘Rinascimento orientale’, stimolato non, come quello del Quattrocento e Cinquecento, dalla riscoperta degli antichi Greci e Romani, ma appunto dalla scoperta sostanzialmente inedita delle civiltà orientali, in particolare di quella indiana, vista spesso come l’origine remota della stessa civiltà europea, idea che oggi possiamo riprendere oggi in considerazione su basi non solo linguistiche, ma anche archeologiche e genetiche.
Nel corso dell’Ottocento, l’interesse per il pensiero indiano toccò filosofi come Hegel e soprattutto Schopenhauer (grande estimatore delle Upaniad, i testi metafisici dei Veda), nonché gli americani Emerson e Thoreau, influenzò profondamente la Società Teosofica e in generale l’esoterismo, mentre in ambito accademico, grazie a personalità come Max Müller, si sviluppava la disciplina indologica per mezzo della conoscenza della lingua e dei testi più importanti, fino alla redazione dei dizionari più usati ancora oggi, ovvero quello tedesco di Böthlingk e Roth e quello inglese di Monier-Williams, la cui prima edizione data al 1899.
Nel Novecento, profondi estimatori della civiltà indiana furono importanti intellettuali come Hermann von Keyserling (nella foto a sinistra), grande viaggiatore, autore del Diario di viaggio di un filosofo, bestseller del primo dopoguerra, e fondatore nel 1920 a Darmstadt della ‘Scuola della Saggezza’, e naturalmente Hermann Hesse, che immortalò la sua conoscenza dell’India nel sempreverde Siddharta, apparso nel 1922. Appassionati studiosi della sapienza indiana furono noti esoteristi e teorici della Tradizione come René Guénon, o insigni accademici come lo storico delle religioni Mircea Eliade e l’orientalista italiano Giuseppe Tucci, celebre per le sue esplorazioni in Nepal e Tibet. Si data però agli anni Sessanta l’esplosione di un interesse di massa per l’India e il suo mondo ‘alternativo’ al materialismo occidentale, fatto di maestri spirituali e pratiche meditative, che ha portato ad una vasta diffusione in Europa e America delle tecniche yoga e di vari movimenti spirituali di matrice indiana. Anche nella galassia del più recente movimento ‘New Age’, elementi della tradizione indiana e l’uso di termini sanscriti sono molto presenti, benché spesso in modo superficiale o semplicistico. Si può dire che quel ‘Rinascimento orientale’ inaugurato da un’élite intellettuale nel periodo romantico, si sia diffuso a livello di massa e ‘democratizzato’, diventando però un fenomeno piuttosto sotterraneo e scarsamente considerato proprio dall’establishment intellettuale. Tuttavia, abbiamo un episodio recente di riscoperta della tradizione indiana (e in generale orientale) da parte di un giornalista di fama nel caso di Tiziano Terzani, ed anche l’illustre filosofo Remo Bodei ha sostenuto recentemente il valore del pensiero indiano, incoraggiandone una maggiore conoscenza in Occidente.

martedì 10 febbraio 2009

Cos'è il sanscrito?


Il termine ‘sanscrito’ indica la lingua classica e sacra dell’India, detta saṃskr̥tam, che significa “perfezionato, compiuto”. Essa infatti fu codificata nella sua forma ideale dai grammatici indiani, in particolare Pāṇini (situabile nel IV sec. a.C.), fino a diventare la lingua colta, in contrasto con il prakr̥tam, la lingua “naturale”, il vernacolo di uso comune, un po’ come il latino letterario in contrasto con i vari ‘volgari’ dei Paesi di cultura latina. Come però il latino proveniva dalla lingua viva dell’antica Roma, il sanscrito ha le sue radici nella lingua ‘antico-indiana’ che si trova rispecchiata nei Veda, testi sacri molto antichi (alcune parti risalgono almeno al II millennio a.C.) composti nell’India settentrionale dalla casta sacerdotale dei brahmani, che sono divenuti i più fedeli custodi del sanscrito, tanto da poterlo ancora usare come lingua parlata. Grazie alla loro conservazione di questa tradizione culturale, molti termini sanscriti si trovano ancora nelle lingue indiane contemporanee, sia arie sia dravidiche, e la stessa scrittura che si usa per il sanscrito è usata oggi per le lingue hindi, marathi e nepali, che comprendono la maggior parte dell’India settentrionale, il Maharashtra (lo Stato di Mumbai) e il Nepal.
Tradizioni in lingua sanscrita si sono diffuse ampiamente, in forma diretta o mediata, anche al di là dell’India, tramite l’Induismo nel Sudest asiatico (Cambogia, Indonesia), e tramite il Buddhismo del Grande Veicolo in Asia centrale, Tibet, Mongolia, Cina, Corea, Giappone, tanto che numerosi termini e formule di origine sanscrita si trovano ancora usati in queste culture. Tramite una lingua molto prossima al sanscrito, il pāli, la cultura del Buddhismo indiano Theravāda si è diffusa invece nell’isola di Ceylon e in gran parte dell’Indocina.

Per dare un’immagine introduttiva, possiamo dire che la struttura della lingua è analoga a quella del greco, con tre generi (maschile, femminile e neutro), e tre numeri (singolare, duale e plurale), presenta però otto casi (Nominativo, Vocativo, Accusativo, Strumentale, Dativo, Ablativo, Genitivo e Locativo), che vengono declinati in modo parzialmente diverso a seconda del tema del sostantivo.
Il verbo presenta due coniugazioni fondamentali, tematica e atematica, ha le diatesi attiva, media e passiva come il greco, i modi indicativo, ottativo, precativo (per l’aoristo), imperativo, participio, gerundio o assolutivo, gerundivo e infinito (in vedico anche l'ingiuntivo e il congiuntivo), i tempi presente, imperfetto, perfetto (in vedico anche il piuccheperfetto), aoristo, futuro.
La scrittura, detta devanāgarī, è di tipo parzialmente sillabico, indica sia le consonanti che le vocali, comprende 42 segni principali, alcuni segni diacritici e varie combinazioni dei segni principali. Il suo apprendimento è relativamente rapido, sebbene non sia indispensabile nel caso ci si voglia limitare alla lettura di testi traslitterati.
La fonetica si presenta molto simile a quella italiana per quanto riguarda le vocali, mentre per le consonanti presenta alcuni suoni assenti nell’italiano standard, come le occlusive aspirate sonore e sorde (analoghe a certi suoni del calabrese), le cerebrali o retroflesse (che corrispondono a suoni tipici del siciliano), e l’aspirata semplice (analoga alla h inglese o alla gorgia toscana).

venerdì 6 febbraio 2009

Mi presento: mi chiamo Giacomo Benedetti, sono dottore di ricerca in Orientalistica dell'Università di Pisa, specializzato negli studi indiani, in particolare nella lingua sanscrita e nei testi vedici ed epici. Ho fatto l'Università a Pisa, insieme alla Scuola Normale Superiore, laureandomi in Lettere Classiche con una tesi di Indologia col Prof. Saverio Sani. Dopo ho conseguito un DEA dell'Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi, sempre su tematiche indologiche.
Ho frequentato anche un anno alla Ecole Pratique des Hautes Etudes di Parigi, nel 2005-2006.
Ho completato una tesi di dottorato su "La figura del Rishi nella cultura vedica", trattando il contesto storico e archeologico dei Rishi vedici, il confronto con altre civiltà, in particolare quella sciamanica dell'Asia centro-settentrionale, quelle semitiche e quelle indoeuropee, e le attestazioni nei testi vedici della figura del Rishi, questo poeta, veggente e sacerdote che ha segnato le origini della civiltà dell'India.
I miei ambiti di interesse sono, oltre alla lingua e letteratura sanscrita, la storia dell'India, soprattutto nelle sue fasi più antiche, l'archeologia della civiltà dei fiumi Indo e Sarasvati, la storia e fenomenologia delle religioni, la questione indoeuropea anche nei suoi più recenti aspetti di ricerca genetica a scopi storici. In un contesto meno accademico, ho approfondito le tradizioni buddhiste anche non indiane (anche tramite frequentazione di maestri tibetani e giapponesi), la comparazione tra le varie tradizioni spirituali, l'incontro tra cultura occidentale e culture 'orientali'...

Sono disponibile a corsi di sanscrito online (presso il sito TFW), a traduzioni dal sanscrito, a consulenze su questioni attinenti la civiltà dell'India, a supporto esami (per i dettagli rinvio al mio profilo), e a scrivere pubblicazioni di argomento indologico.
Vi invito comunque a commentare e discutere liberamente su questo blog!

Il mio profilo professionale: http://www.tfw.it/_sites/16/user/profile.cfm?user_id=97786&a_aid=2RD2umy3